Intervento di Maria Grazia Bajoni
- Categories Atti Convegno Berchet
- Date 3 Maggio 2017
Oltre i confini della tradizione letteraria italiana: Madame de Staël e Giovanni Berchet
1. 1816: l’anno senza estate
Il 1816 è conosciuto come l’anno senza estate, perché tormentato da importanti anomalie climatiche che provocarono carestie e miseria fra le popolazioni dell’Europa e del Nord America1. Molto probabilmente, queste variazioni climatiche furono causate dall’eruzione del vulcano Tambora nell’isola di Sumbawa, nell’attuale Indonesia (allora Indie Olandesi) che eruttò circa 150 miliardi di m3 di rocce sminuzzate, polvere e detriti.
Senza voler fare una sorridente meteorologia storica, è noto che il clima pessimo del mese di luglio di quell’anno costrinse a una sorta di reclusione forzata Mary Godwin (la futura moglie di Shelly), John William, Lord Byron e altri intellettuali in vacanza a Cologny (Ginevra) e li spinse a cimentarsi in una sfida letteraria che ebbe come esito la scrittura di Frankenstein (Mary Godwin) e de Il vampiro (John William).
2. La situazione politica e letteraria a Milano nel 1816
Nel 1816 l’Italia era, secondo l’opinione del principe Clemente di Metternich, una “espressione geografica” dominata, più o meno direttamente, dall’Austria. Un vicerè, residente a Milano, governava il Lombardo-Veneto. Le autorità austriache avevano, agli occhi dei sudditi, il demerito di essere stranieri e di ostacolare, per il solo fatto di essere presenti sul territorio, la speranza di libertà e di indipendenza degli Italiani. Gli intellettuali, i letterati e gli artisti erano sorvegliati dal governo austriaco, in quanto sospettati di essere legati a società segrete.
Nel 1816, a Milano, la società dirigente era lontana da entusiasmi letterari ; intenta a uno stato di conciliazione con l’Austria, aveva progetti modesti e, del resto, non era stata sconvolta né dai contraccolpi della rivoluzione francese, né dalla dominazione napoleonica.
Gli intellettuali della generazione precedente, che avevano tentato di creare e formare un pubblico aperto alle nuove idee con la pubblicazione del « Caffé », erano scomparsi – Alessandro Verri morì a Roma il 23 settembre di quell’anno – e coloro i quali sarebbero divenuti i loro eredi non erano ancora entrati in scena, almeno con un ruolo di rilievo : Alessandro Manzoni conservava intatto il suo spirito francese e Giacomo Leopardi era troppo giovane.
L’Italia perseverava nel suo provincialismo e, gli intellettuali, quelli più aperti ad accogliere le novità, si rendevano conto che il classicismo di cui si nutriva la sua cultura era sfibrato e inutile.
Nel 1816, Stendhal si trovava a Milano e constatava come la letteratura e la politica fossero, in Italia, “dolenti note”. Il 1° ottobre 1816 annota: “L’Italia avrà una letteratura solo quando avrà due Camere; fino a quel momento avrà soltanto una falsa cultura e una letteratura d’accademia. Una persona di genio può emergere, ma Alfieri lavora alla cieca e non può sperare in un pubblico.”
Stendhal frequentava il palco alla Scala del Marchese di Breme e aveva l’occasione di incontrare intellettuali fra i quali Monti, Pellico, Borsieri, Ermes Visconti, Federico Confalonieri e Berchet dei quali restituisce notevoli ritratti. Del Berchet scrive:
“Il signor Grisostomo Berchet ha tradotto in modo egregio in italiano alcune poesie di Bürger. E’ un impiegato e l’intelligenza che porta nei suoi versi italiani, volti a rinchiudere un’idea, potrebbe farlo destituire.”
Stendhal riprende qui il nome Grisostomo dal titolo della Lettera che, certamente, aveva letto e che sarebbe diventata uno dei manifesti del romanticismo italiano.
Nel gennaio 1816, a Milano, la città più aperta agli stimoli culturali provenienti dall’Europa, uscì il primo numero della Biblioteca Italiana, per i tipi dell’editore Fortunato Stella2.
Conclusa l’epoca napoleonica, della quale tuttavia non si erano esauriti gli strascichi culturali, nel Lombardo-Veneto, il governo austriaco doveva fare i conti con i fermenti di una cultura nazionale. Per incanalare questi stimoli nella direzione voluta dal governo di Vienna, nel 1815, sostenne, sia pure non apertamente, il progetto di un giornale enciclopedico. Per questo, il conte Henri de Bellegarde3, plenipotenziario in Lombardia e ideatore del nuovo giornale, aveva ritenuto opportuno favorire un compromesso, proponendo di concedere al Lombardo-Veneto una relativa autonomia e di metterlo alla guida di una confederazione italiana che avrebbe però riconosciuto la sovranità dell’Austria. Bellegarde intendeva creare una tribuna culturale che fosse sede di dibattito per gli intellettuali italiani : chiamò dunque Foscolo, Monti e altre personalità che potessero organizzare il dinamismo ideologico evitando derive sovversive.
La Biblioteca Italiana, giornale d’obbedienza austriaca, aveva sostituito il Giornale Italiano, organo del Regno d’Italia, d’impronta filo-francese (era stato diretto da Vincenzo Cuoco dal 1802 al 1806). Il titolo completo del nuovo giornale manifestava ambizioni enciclopediche : Biblioteca ossia Giornale di Letteratura Scienze ed Arti compilato da una Società di Letterati. Nel Proemio si dichiarava la disposizione ad accogliere le opinioni degli Italiani, i quali «benché divisi, hanno pure un comune vincolo della lingua: e questo basta a ricongiungerli nell’amore e nel profitto del sapere». Questa apparente apertura escludeva il fatto che la formazione di una “società letteraria” si innestasse sull’unità politica nazionale. La rivista si dichiarava, inoltre, disponibile ad accogliere contributi di personalità straniere e la direzione incoraggiava il dibattito, alla condizione che si mantenesse nei toni della moderazione. Firmavano il proemio, Scipione Breislak, Pietro Giordani e il direttore Giuseppe Acerbi4.
La fondazione della Biblioteca era dunque il punto di partenza per la realizzazione dell’utopico progetto politico di Bellegarde di avere un Lombardo-Veneto relativamente autonomo5. Bellegarde aveva ponderato la scelta del direttore: dapprima aveva pensato a Foscolo, il quale però nel marzo del 1815 scelse l’esilio, poi a Monti, che durante l’estate del 1815, chiamò Giuseppe Acerbi, devoto al paternalismo austriaco. Nel 1816, i compilatori (oggi si direbbe i redattori) 6 erano Vincenzo Monti, già famoso traduttore dell’Iliade, Pietro Giordani e il geologo Scipione Breislak. Giordani e Monti rimasero nella redazione fino al momento della rottura con Acerbi che li aveva esasperati per il suo atteggiamento reazionario.
La scelta di Foscolo ebbe una ricaduta negativa sull’operato di Bellegarde, il quale dalla primavera del 1815, fu affiancato nella sua carica dal conte Franz von Saurau7.
Giuseppe Acerbi era noto soprattutto come esploratore nei paesi del nord Europa. Fu geniale nell’ottenere da Mme de Staël un articolo per il nuovo giornale, ma è molto probabile che la sollecitudine della Baronessa fosse determinata più dall’ammirazione che nutriva per il Monti che dalla richiesta dell’Acerbi. E infatti, nel suo articolo, Mme de Staël elogia la traduzione del Monti.
3. Mme de Staël a Milano nel 1815
Il 2 ottobre del 1815, Mme de Staël arrivò a Milano. Nonostante l’accoglienza che le fu riservata dalle autorità e dagli amici, Monti, Acerbi, Berislak, si rammaricò di vedere l’Italia in una condizione peggiore rispetto a quella nella quale l’aveva trovata durante il suo primo viaggio nel 1804-1805. Sua figlia Albertine annotava nel diario: “Siamo andate alla Scala. Le sale in Italia sono poco illuminate, c’è poca gente, non si ascolta musica”. Osservazioni che sembrano la metafora del sopore culturale.
Tuttavia, sebbene a Milano Mme de Staël fosse stata ben accolta da Bellegarde e da Saurau, era comunque tenuta in sospetto dalle autorità austriache a causa delle sue opinioni politiche, come si legge nella lettera del 17 luglio 1817 di Saurau, governatore di Milano, a Metternich.
Sarebbe interessante sapere se Mme de Staël, mentre proponeva ai lettori della Biblioteca di spaziare verso un orizzonte letterario cosmopolita, avesse la percezione che gli Italiani stessero per intraprendere un cammino irreversibile che li avrebbe condotti all’unità e all’indipendenza politica.
4. L’articolo di Mme de Staël
Il primo numero della Biblioteca Italiana si aprì dunque con l’articolo di Mme de Staël « Sulla maniera e la utilità delle Traduzioni », tradotto da Giordani, ma pubblicato senza il nome del traduttore. Ritorneremo su questo titolo. L’articolo originale era intitolato « De l’esprit des traductions », che richiamava il celebre De l’esprit des lois di Montesquieu. Il titolo francese non era ideologicamente casuale: come Montesquieu aveva voluto proporre un nuovo pensiero politico-sociale, così Mme de Staël auspicava il rinnovamento della letteratura italiana. A tale scopo, incoraggiava gli Italiani ad orientare diversamente i loro interessi letterari ampliandone gli orizzonti, guardando alla produzione poetica e teatrale d’Oltralpe per trarne nuovo alimento d’ispirazione.
Mme de Staël sembrava ignorare le traduzioni che erano state fatte in Italia nei decenni precedenti (penso, ad esempio, a Baretti che aveva tradotto Corneille), ma si deve tener conto che nell’articolo “riciclava” concetti che aveva esposto diffusamente nel De l’Allemagne e nel De la littérature. Questi concetti avevano già suscitato polemiche dopo la traduzione della Letteratura in italiano, pubblicata a Milano nel 18038. Ma l’articolo assecondava l’aria del tempo: nell’opuscolo Intorno all’ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani, Ludovico di Breme delineava un quadro desolante della cultura italiana, volta a esaltare il passato e a rifiutare il “commercio quotidiano d’idee e di lumi” con tutte le nazioni civili; questa situazione si ritrova nelle Avventure letterarie di un giorno o Consigli di un galantuomo a vari scrittori del Borsieri (settembre 1816) e nella Lettera semiseria di Berchet. La necessità di un rinnovamento per le belle lettere italiane sarà espressa anche negli anni successivi sulle pagine del Conciliatore.
L’articolo di Mme de Staël non scalfì l’incallito classicismo dei pedanti italiani, e a poco valse la sua risposta pubblicata nel giugno del 1816, in cui precisava che conoscere (e di conseguenza, tradurre) non significa imitare, ma quanto più si studia tanto più si sviluppa originalità.
Berchet non esitò a cogliere l’esortazione a tradurre gli autori del nord Europa.
I punti chiave dell’argomentazione [ di Mme de Staël] sono i seguenti:
1. La traduzione è utile e vantaggiosa, perché abbatte le frontiere linguistiche e amplia gli orizzonti della conoscenza, in quanto non si possono apprendere tutte le lingue per accedere ai testi originali.
2. La traduzione fa sì che un testo sia apprezzato nella propria lingua madre e produca un “piacere familiare” che rende più godibile l’originale.
3. Il latino rimane vantaggioso solo per la comunicazione scientifica che non necessita della bellezza stilistica.
4. La tradizione classica, più viva che all’estero, determina l’egemonia letteraria dell’Italia. Tuttavia, gli Italiani si sono adagiati su un classicismo logoro e poco stimolante.
5. Un paradosso psicologico sostiene l’argomentazione: una traduzione ben fatta nella propria lingua madre permette di gustare il testo con un piacere più familiare e intimo. Le bellezze delle opere straniere vengono in tal modo naturalizzate e arricchiscono lo stile nazionale di espressioni nuove e più originali, evitandone la banalità e la decadenza.
Si nota qui uno dei grandi meriti di Mme de Staël, cioè il fatto di applicare il principio della perfettibilità della letteratura.
6. Le buone traduzioni sono prodotti letterari che possono competere con gli originali: esempi di altissima qualità sono la traduzione delle Georgiche dell’abate Delille, dell’Iliade del Monti, quella dell’Odissea del Voss (Mme de Staël evoca anche la questione omerica condividendo l’ipotesi di un unico autore per entrambi i poemi), e quella di Shakespeare prodotta da August Schlegel.
7. La traduzione democratizza, per così dire, la letteratura che deve essere l’espressione della società.
8. Ne consegue la riduzione della distanza interlinguistica e l’arricchimento del lessico tradizionale (v. Manzoni sui neologismi dalle lingue straniere)
9. Gli Italiani devono leggere gli autori d’Oltralpe per rinvigorire le idee e rinnovare la loro produzione letteraria, in particolare quella teatrale che langue. Soltanto uscendo dal loro provincialismo, potranno arrivare ai vertici letterari come meritano.
Se è vero, come diceva García Márquez, che lo scrittore deve appassionare il lettore fin dalla prima frase del testo, si potrà dire che Mme de Staël riusce ancora ad accattivarsi il lettore moderno dall’incipit del suo articolo: «Non esiste servizio più eminente che si possa rendere alla letteratura che tradurre da una lingua all’altra i capolavori dello spirito umano.»
La traduzione arricchisce: la produzione letteraria che sia veramente notevole è rara, se ogni nazione si limitasse alla propria, sarebbe povera. Ma il vantaggio maggiore è che permette la circolazione delle idee.
1 M. Minelli, 1816, l’anno senza estate, Genova, De Ferrari, 2015.
2 Antonio Fortunato Stella (Venezia 1757- Milano, 1833), tipografo ed editore. Pubblicò la prima edizione delle Operette morali de Giacomo Leopardi.
3 Heinrich Johann von Bellegarde (Dresda, 1756 -Vienna, 1845), di origine savoiarda, era stato feldmaresciallo durante le guerre dell’Austria contro la Francia rivoluzionaria. Fu consigliere plenipotenziario, ciambellano e consigliere intimo di stato dell’imperatore Francesco I, il quale lo incaricò di smantellare l’esercito napoleonico e di preparare l’annessione del Lombardo-Veneto all’Austria.
4 Date queste premesse, si comprende il rifiuto di Manzoni a far parte di questa società di letterati. Cf. Lettera del 26 agosto 1815 a Giuseppe Acerbi in A. Manzoni, Tutte le lettere, t. I, a cura di C. Arieti et D. Isella, Milano, Adelphi, 1986, p. 145-146.
5 Cf. de R. Bizzocchi, La «Biblioteca Italiana » e la cultura della Restaurazione (1816-1825), Milano, Franco Angeli, 1979 (Studi e ricerche storiche, 2), p. 9-36.
6 Per i documenti riguardanti la fondazione della Biblioteca Italiana, s veda Le carte Acerbi nella Biblioteca Teresiana di Mantova. Inventari a cura di Roberto Navarrini, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Istituto Poligrafico-Zecca dello Stato, 2002, p. 19-24 (disponibile on line).
7 Franz Josef Graf von Saurau (Vienna, 1760- Firenze, 1832) fu governatore di Vienne, ambasciatore a San Pietroburgo, ministro della polizia e delle finanze e governatore di Milano dall’aprile del 1815 all’agosto 1816.
8 Della letteratura considerata nei suoi rapporti colle istituzioni sociali, Milano, Pirotta e Maspero Stampatori-Librai, 1803.
L’articolo scatenò quell’onda di reazioni che va sotto il nome di polemica classico-romantica. Non mi soffermerò su questo argomento, diffusamente trattato nei manuali scolastici. In sintesi si ricorderà che nell’aprile del 1816 la Biblioteca Italiana pubblicò un articolo anonimo in risposta a quello della Baronessa, la cui attribuzione è stata molto discussa, cioè se l’autore fosse il Giordani o il Gherardini; nel numero di giugno, Mme de Staël replicò alle critiche. Altri fautori e detrattori seguirono: interessa notare che due anni dopo, questa “guerra letteraria” non si era placata: nel n° 21 del Conciliatore (12 novembre 1818), il Berchet, intento a recensire la Storia della poesia e dell’eloquenza di Bouterwek1, ricordava: “Fra gli stranieri che scrissero della nostra letteratura sa ognuno quanto rumore suscitassero di recente madame de Staël, il sig. Sismondi2, il sig. Schlegel…”
Mi sembra invece interessante richiamare l’attenzione su Leopardi il quale, accogliendo l’invito espresso nella nota a piè di pagina alla lettera della baronessa, pubblicata nel mese di giugno, inviò da Recanati una lettera datata 18 luglio 1816 e indirizzata ai compilatori della Biblioteca, in risposta all’articolo della De Staël: Acerbi rifiutò di pubblicarla. La lettera conosciuta novant’anni dopo, nel 1906. La meschinità del rifiuto non cessa di stupire: nella sua lettera, Leopardi si era permesso di lodare la traduzione del Monti, inviso ad Acerbi per motivi ideologici ed editoriali3.
Nella sostanza, la sapiente risposta di Leopardi si può sintetizzare così: l’ispirazione poetica, la si ha connaturata o non si potrà mai prenderla a prestito leggendo gli autori transalpini, tanto più che nei classici si possono attingere tutte le risorse.
L’ottuso puntiglio dell’Acerbi impedì che l’opinione risolutiva di Leopardi fosse conosciuta.
5. Berchet traduttore
E’ bene ricordare il titolo completo della Lettera: Sul “Cacciatore feroce” e sulla “Eleonora” di Goffredo Augusto Bürger. Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo.
Nella finzione letteraria, Berchet immagina che Grisostomo risponda alla lettera di un figlio lontano, il quale gli aveva chiesto la traduzione di due ballate del Bürger, lodate da Mme de Staël nel suo De l’Allemagne, opera conosciuta in Italia attraverso la traduzione fatta da Davide Bertolotti4 nel 1814, traduzione che Ludovico di Breme aveva giudicato pessima.
Il titolo completo della Lettera attira dunque l’attenzione sulle traduzioni. La Lettera fu pubblicata a Milano, presso Bernardoni, nel dicembre 1816.
Si dirà anzitutto che Berchet si occupa più che altro della traduzione poetica e del riscontro che due testi “romanzi” del Bürger avrebbero potuto avere sul pubblico. Berchet considera i più rinomati lirici tedeschi della scuola moderna Goethe, Schiller, Bürger.
Punti chiave della Lettera
1. Osservazione di metodo:
“non mi resse l’animo di alterare con troppi colori italiani i lineamenti di quel Tedesco: e la traduzione è in prosa.”
La traduzione della poesia è un argomento tuttora all’ordine del giorno: si vedano i saggi di Yves Bonnefoy, poeta francese, morto lo scorso anno, traduttore, fra altri di Leopardi e di Shakespeare.
“Non è, per altro, ch’io intenda dire che tutto quanto di poetico manda una lingua ad altra, s’abbia da questa tradurre in prosa...”
“…Non di un concetto poetico che sarà sublime a Londra o a Berlino, riescirà non di rado ridicola, se ricantata in Toscana. Ché se tu mi lasci il concetto straniero, ma per servire alle inclinazioni della poesia della tua patria me lo vesti di tutti i panni italiani e troppo diversi da’ suoi nativi, chi potrà in coscienza salutarti come autore, chi ringraziarti come traduttore? Colla prosa la faccenda è tutt’altra; da che il lettore non si dimentica un momento mai che il libro ch’ei legge è una traduzione”.
“Il signor Leoni [traduttore di Shakespeare] ha ingegno, anima, erudizione…cognizione molto della lingua inglese, tutti insomma i requisiti per essere n valente traduttore di Shakespeare. Ma il sig. Leoni l’ha sbagliata. I suoi versi sono buoni versi italiani. Ma che vuoi? Shakespeare è svisato.”
2. Qualità della lingua italiana:
“E non occorre dire che la lingua nostra non si pieghi ad una prosa robusta, elegante, snella, tenera quanto la francese.”
3. Libri consigliati
“Allora avrai da me denaro per comprartene altri, come a dire del Vico, del Burke, del Lessing, del Bouterwek, dello Schiller, del Beccaria, di Madama de Staël, dello Schlegel e d’altri…”
4. Il pubblico: Fra Ottentotti e Parigini, c’è il “popolo”, i nuovi lettori, i quali diventeranno, dopo non molti anni i “venticinque lettori” per i quali Manzoni costruirà la lingua italiana a tavolino. E’ questo il pubblico, la “société” auspicata da Mme de Staël già formata in Francia dall’Illuminismo.
5. Nel discorso del buon curato di Monte Atino, “l’amico mio dall’anima ardente” (alter ego del Bechet) si evidenzia il “decadimento della letteratura che tutta quanta l’Europa rinfaccia da ogni parte: “Rendetevi coevi al secolo vostro, e non ai secoli seppelliti…cavoli già putridi non rifriggeteli. Credete voi forse che i lettori italiani non gustino altro che il sapore dell’idioma e il gusto della verbosità? Badate che leggono i libri stranieri…Badate che i progressi intellettuali d’una parte d’Europa finiranno col tirar dietro a sé anche il restante…la tirannide dei pedanti sta per cadere in Italia.”
6. La traduzione come mediazione culturale: “Tutti sanno che in Inghilterra e in Germania non si coltiva da letterato veruno né la lingua greca né la latina e che non si ha contezza ivi degli scrittori di Atene e Roma, se non per mezzo di traduzioni italiane.”
“Alcuni cervellini d’Italia, che non sanno né di latin né di greco, lingue per essi troppo ardue, vorrebbero menar superbia dell’aver imparate le lingue del Nord, che ognuno impara in due settimane, tanto sono facili” (ironia che mi richiama alcune assurde pubblicità di apprendimento rapido che passano in internet)
6. La sorte del saggio di Mme de Staël
Habent sua fata libelli: il saggio sulla traduzione di Mme de Staël, che tanto sconvolse i letterati italiani incoraggiandoli a tradurre, arrivò al di là delle Alpi nella traduzione del Giordani. Nel dossier dei documenti riguardanti la Biblioteca Italiana, non c’è l’originale francese, ma la traduzione5.
Poco sappiamo del testo originale che tradusse Giordani, oltre che corrisponde a quello pubblicato in Œuvres complètes, t. 17, p. 387, Parigi, Treuttel et Würtz 1821, diverso da quello conservato nell’archivio del castello dei Necker a Coppet. E’ interessante dire che la traduzione di Giordani ebbe una retroversione francese che fu pubblicata anonima nella Bibliothèque universelle de Genève6.
Il post-scriptum che l’accompagna commenta la traduzione stessa: Giordani è lontano dal restituire lo stile dell’originale, tipicamente francese, poiché le qualità della lingua italiana privilegiavano la struttura sintattica complessa con proposizioni subordinate a imitazione dello stile latino. Insomma, Giordani traduce ut orator, non ut interpres, distinzione ciceroniana che resta valida, cambiata la terminologia, anche nella moderna traduttologia. Non traduce alla lettera il titolo, del tutto consono alla cultura francese, ma riassumendo il contenuto del saggio « Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni ». E forse non gli era mancata la memoria di Alfieri per il quale la traduzione era un’occupazione utilissima et dilettevole7.
Confrontando il testo su cui si fonda la traduzione del Giordani8 e quello conservato negli archivi di Coppet9, non è escluso l’intervento della censura.
Derisa da Stendhal per la sua frequentazione dei salotti (scrisse “Mme de Staël non aveva mai fatto altra opera che L’Esprit des lois de la société”), bersaglio dell’ironia del Foscolo il quale nel Gazzettino del bel mondo, le aveva dato il nome di “Metafisica” e scherzava sul fatto che, con il suo entusiasmo ginevrino, il suo fascino femminile e la sua immaginazione, aveva diviso il regno della letteratura in due: il sud con Omero e il nord con Ossian10. Anche se l’opinione della produzione letteraria influenzata dal contesto sociale e climatico risaliva a una tradizione che gli eruditi italiani dei secoli XVIII e inizio del XIX non ignoravano11.
Mme de Staël, testimone e spettatrice della storia politica del suo tempo, portatrice della libertà di pensiero e delle idee moderate della rivoluzione francese, innamorata dell’Italia come la Corinna del suo romanzo, lanciò un appello agli Italiani affinché si disponessero alla libera circolazione delle idee innovatrici. Mediante la traduzione si sarebbe potuto ottenere questa conversione culturale. La fatica e gli sforzi d’interpretazione dei classicisti pedanti sono inutili: leggere un testo deve essere un piacere e un arricchimento intellettuale. A che cosa serve la mitologia? A nulla, dice Berchet, a nulla, ribadisce Manzoni il quale replicò in modo pungente contro gli avversari dell’amico Berchet con l’ode L’ira di Apollo per la lettera semiseria di Grisostomo12. A questa ode si affianca Il testamento di Apollo del Porta in cui Apollo, sul letto di morte, rinuncia la suo ruolo (la comicità debordante è ottenuta con immagini scatologiche).
Sulla traduzione e sulla storia della traduzione c’è un universo di argomenti oggetti di studio. Borges, parlando delle traduzioni omeriche, ha messo in discussione la nozione di un testo originale fisso e stabile: è una concezione sovversiva, in quanto l’originale non è più considerato come un testo definitivo. Borges parla di “superstizione” dell’inferiorità della traduzione rispetto all’originale e osserva che non conoscere la lingua del testo di partenza è una condizione che permette al lettore di godere un grande numero di versioni di quel testo. Non esiste quindi una lettura originale dei classici, perché un classico, in quanto tale, viene sempre riletto. La sua dichiarazione è provocatoria :“L’Odissea, grazie alla mia ignoranza del greco, è una libreria internazionale in prosa e in versi.”13
Per concludere, un suggerimento divertente: chi si lascia avvincere dai gialli, potrebbe leggere, se ancora non lo ha fatto, il romanzo di Pablo De Santis, La traduzione, che è un “classico” della letteratura sud-americana.
1 Friedrich Boutewerk (1766-1828), giurista e filosofo, autore di una Storia della poesia e dell’eloquenza etc.
2 Jean Charles Simonde de Sismondi (Ginevra 1773 – Ginevra, 1842). Scrittore, storico e critico letterario, condivise con Mme Mme de Staël l’avversione per Napoleone. Accompagnò Mme de Staël durante i suoi viaggi in Italia (1804-1805), in Austria e in Germania. Deve la fama ai suoi trattati di economia politica e al saggio De la littérature du midi de l’Europe (1829).
3 Cf. Lettera di G. Leopardi del 17 novembre 2016 a G. Acerbi.
4 Davide Bertolotti fu il direttore dello Spettarore italiano dal 1815 al 1817. Dal 1820 al 1824 tradusse La storia della decadenza e della fine dell’impero romano del Gibbon.
5 Si veda l’inventario dei documenti in Le Carte Acerbi…, p. 23 : Madame de Staël, Sulla maniera e la utilità delle traduzioni. (Tomo I, anno I, pp. 9-18), cc. 8.
6 Cf. « Sulla maniera e la utilità delle traduzioni. De la manière de traduire, et de l’utilité des traductions», in Bibliothèque universelle des sciences, belles-lettres et arts de Genève, t. 2, Littérature (1816), p. 85-95.
7 Vittorio Alfieri, Vita, IV, 20.
8 Œuvres complètes, t. 17, p. 387, publié à Paris chez Treuttel et Würtz en 1821.
9 Il ms originale è stato ritrovato a Coppet dalla contessa Jean de Pange, la quale ha analizzato le variante « Quelques remarques sur l’article de Mme de Staël intitulé: “De l’esprit des traductions” », in Rivista di letterature moderne e comparate, n° 20, 1 (1967), p. 215-225.
10 Cf. U. Foscolo, Lettere scritte dall’Inghilterra. Saggio d’un Gazzettino del bel mondo, in Prose varie d’arte, a cura di M. Fubini, V, Edizione Nazionale delle Opere di Ugo Foscolo, Firenze, Le Monnier, 1951, p. 360 et 362.
11 Si vedano Melchiorre Cesarotti, deride questa climatologia nella Lettera d’un padovano. Algarotti scrive però il Saggio sull’influsso del clima. Sull’argomento sarà sufficiente rinviare ai numerosi passi dello Zibaldone.
12 Scritta forse verso la metà del 1817, mentre era in vacanza nella villa Sannazari sul lago di Como. Diffusa soltanto in una ristretta cerchia di amici, l’ode fu pubblicata la prima volta in un giornale di Milano, « L’eco» , il 16 novembre 1829, anonima, con una scherzosa avvertenza nella quale si attribuiva a “un galantuomo che morì tre settimane sono.”
13 J. L. Borges, “Le versioni omeriche”, in Id. Tutte le opere, vol. 1, Milano: Meridiani Mondadori, 1984, p. 372.
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