“Arctic Monkeys”, la band che ruppe le regole
- Categories Arte e Cultura, Carpe Diem
- Date 11 Aprile 2017
“Whatever people say I am, that's what I'm not”
2002. Inghilterra. Yorkshire. Sheffield. Alex Turner e James Cook, vicini di casa, decidono di imparare insieme a suonare la chitarra: immediatamente, imparati i primi accordi, cominciano a suonare cover dei Vines, degli White Stripes e degli Oasis. Mettono su una band, si aggiungono così alla formazione Matt Helders (batteria) e Andy Nicholson (basso). I quattro cominciano a provare nel garage di Alex. Scrivono subito alcuni pezzi e, dopo aver suonato in vari pub, nel 2004 decidono di registrare dei demo e lanciarli in rete come EP non ufficiale chiamato "Beneath the Bordwalk". Inaspettatamente le tracce della raccolta diventano virali e focalizzano l’attenzione sui giovani Arctic Monkeys. In seguito a un tour nazionale che li vede ottenere molti sold-out (da ricordare quello al Forum di Sheffield), si convincono a stipulare un contratto con la casa discografica indipendente Domino e a far pubblicare agli inizi del 2006 il loro primo album ufficiale: “Whatever People Say I Am, That's What I'm Not”. Quest’album li consacrerà a nuovi idoli del rock britannico battendo il record di vendite nella prima settimana (detenuto precedentemente dagli Oasis), portandoli a suonare nei festival britannici di maggior rilievo come il “Reading e Leeds” e il “T in the Park” e facendoli vincere un Brit Award come “rivelazione britannica dell’anno”.
Il disco è un vero e proprio riassunto di tutta la storia della musica britannica dagli anni ’70 fino ai primi duemila: la formula vincente è rappresentata da chitarre grezze e prepotenti ispirata chiaramente alla scuola punk guidata dai Clash nei Seventies (per esempio quelle di “The View From The Afternoon” e dell'esplosiva “I Bet You Look Good On The Dancefloor”) che accompagnano testi capaci di dipingere squarci di tipica vita della provincia inglese e che vanno a comporre una sorta di concept-album incentrato sulla vita dei giovani dell'Inghilterra del Nord con una tipico atteggiamento indie (“Dancing Shoes”, “Riot Van”, “When The Sun Goes Down”). Infatti un’influenza decisamente importante è quella dei Franz Ferdinand, band che sin dall’album di debutto non aveva mai rinunciato alla distorsione delle chitarre post-punk unendola a un’originale attitudine riempipista. L’album è caratterizzato dall’alternarsi di pezzi frenetici e di pezzi estremamente dolci e cantilenanti come “A Certain Romance” o “Mardy Bum”. Gli Arctic Monkeys con questo perfetto miscuglio di generi britannici e l’aggiunta della loro freschezza riuscirono a spodestare dal trono i The Libertines e i Babyshambles, che erano stati identificati fino ad allora come i re indiscussi del post-punk inglese e a riempire quel vuoto enorme che avevano lasciato nel panorama musicale brit i The Strokes.