“Ci siamo salvati grazie alla musica”
- Categories Carpe Diem, Interviste
- Date 13 Aprile 2017
Intervista a Enrico Ruggeri, ex Berchettiano
Ritorno al passato per Enrico Ruggeri e i suoi “Decibel”: il cantautore due volte vincitore di Sanremo riunisce il suo gruppo punk fondato quarant’anni fa, proprio tra i banchi del Berchet. E quale posto migliore per farlo, se non proprio il luogo dove è nato tutto? Infatti l’artista milanese il 14 Dicembre ha tenuto una conferenza stampa nell’Aula Magna Untersteiner della nostra scuola dove ha presentato, insieme agli altri componenti Fulvio Muzio e Silvio Capeccia, il nuovo album “Noblesse Oblige”.
Nell’aula magna del Liceo ha parlato del 2017 come anno speciale dal momento che il 7 è un numero ricorrente nella sua vita e che questo è l’anno dei suoi 60 anni e, come già detto, della reunion dei “Decibel”. Senza alcun pelo sulla lingua si è poi scagliato contro il pop accusandolo di piaggeria e ha definito le canzoni del panorama musicale italiano attuale come tutte uguali.
Alla fine non l’abbiamo lasciato scappare e abbiamo potuto porgli qualche domanda.
Chi è Enrico Ruggeri?
Per dirla breve è uno curioso, uno che ha voglia di mettersi alla prova.
In che anni ha frequentato il Berchet? Cosa le ha lasciato il nostro Liceo e com’era il clima a Milano?
Ho frequentato dall’anno scolastico ’70-’71 e sono “maturato” nel ’75. Il Berchet era una scuola importante! Era il luogo dei miei sogni, dei miei progetti, delle conoscenze coi miei amici. Mi ha anche accompagnato nel mio approccio alla musica, infatti feci ben tre concerti al Berchet.
Erano anni particolari, duri, molto violenti ed esasperati. Erano anni in cui il povero professor Barbarito, il preside di allora, si doveva confrontare con una realtà difficile. Ogni giorno c’erano fuori i “cellulari” della polizia, i poliziotti in assetto anti-sommossa che cercavano di forzare un picchetto. Inoltre a scuola i programmi erano fortemente condizionati, infatti di filosofia si faceva Hegel, si saltavano Nietzsche e Schopenhauer e poi si andava avanti solo su Marx. La letteratura del ‘900 che veniva spiegata non includeva né D’Annunzio né il Futurismo, era solo “Le lettere dal carcere” di Gramsci. Questo creò una classe dirigente egemonizzata, fu un momento che la Destra non capì e la Sinistra fu più svelta a cogliere, anche perché si era da poco usciti dalla Resistenza, che aveva appunto creato uno scenario di questo tipo. Non ho un ricordo bellissimo di quegli anni dal punto di vista sociale…
Noi ci siamo salvati perché c’era la musica! Molti sono finiti nella lotta armata, poi è arrivata l’eroina… Insomma la situazione era molto delicata.
Come mai da una formazione umanistica è poi passato alla musica?
Io ho scelto il Liceo Classico perché mia madre voleva che io facessi l’avvocato. In più io ero bravo in italiano e quindi sono venuto qui. Non avevo calcolato però che ci fossero il greco, il latino, la matematica… (ride, ndr) Io mi trovavo bene, anche perché, secondo me, chi fa il Liceo Classico ha un dna particolare, ha un piacere diverso nei confronti della lettura, dell’approccio umanistico. Qualcosa ti rimane! Non è un caso che adesso certi manager importanti di grandi aziende non hanno un background manageriale, ma sono laureati, ad esempio, in filosofia.
Come si è formato il suo gruppo?
I gruppi nascevano così: ti trovavi in cantina con qualche amico e suonavi! A volte ci capitava di girare l’angolo di Via Orti e vedere che davanti al Berchet c’erano botte, lacrimogeni e scontri, quindi capivamo che non ci sarebbe stata scuola e andavamo a suonare!
Suonare è qualcosa che fai con gli amici con il sorriso sulle labbra, è una cosa piacevole, che ti fa star bene anche se non diventi Bruce Springsteen. È come giocare a calcio: ti diverti anche se non sei nel Real Madrid.
Qual è stata l’evoluzione del suo percorso da un punto di vista umano, nel corso della sua carriera?
Parlare di un percorso umano per un cantante sarebbe già un buon risultato: spero di averlo avuto. Il percorso umano è uno slalom attraverso le difficoltà della vita: la voglia di arrivare, di farcela, il mors tua vita mea.
Il percorso è difficile per tutti, per i cantanti, per gli idraulici, per i salumieri, per i professori. Uno cerca di essere orgoglioso di sé stesso, a volte ci riesci, a volte pensi di esserci riuscito e poi non era così, a volte fai dei danni…
Cosa direbbe agli studenti del Berchet che ci leggono?
Intanto in bocca al lupo! (ride, ndr) Però ho notato che adesso non è più come allora: si va a scuola, si studia… Non ci sono neanche più i picchetti!