I 400 colpi
- Categories Carpe Diem, Cinema e Spettacolo
- Date 11 Aprile 2017
In questi giorni sui cartelloni pubblicitari e sui tram campeggia un’immagine che promuove la mostra che Milano dedica a Manet. L’immagine in questione è il primo piano del famosissimo quadro “Il pifferaio”, che rappresenta un giovane intento a suonare il suo strumento e con lo sguardo fisso. Proprio questo sguardo mi ha fatto subito venire in mente un’altra immagine iconica, non più della storia dell’arte ma della storia del cinema, l’ultimo fotogramma della pellicola di François Truffaut intitolato “I 400 colpi”, espressione idiomatica traducibile come “fare il diavolo a quattro”. Se Manet è il precursore dell’ Impressionismo, allo stesso modo con Truffaut nasce il nuovo stile cinematografico della Nouvelle Vague, letteralmente nuova ondata. “I 400 Colpi” è considerato uno dei film manifesto di questa corrente che, sviluppatasi in Francia negli ultimi anni Cinquanta, ha poi profondamente influenzato il cinema degli anni successivi in Europa, nelle Americhe e persino in Giappone. Insieme a Truffaut i più importanti esponenti di questa corrente erano registi e critici che ruotavano intorno alla rivista Cahiers du cinéma, come Jean-Luc Godard e Claude Chabrol che, seguendo gli insegnamenti di André Bazin,
ritenevano che ogni regista dovesse esprimere una visione personale del mondo non solo attraverso la sceneggiatura ma soprattutto con lo stile, portare nei loro film le aspettative e la voglia di cambiamento dei giovani di quegli anni, abbandonare gli studi cinematografici e girare per le strade nei luoghi della vita vera così come nei veri appartamenti. Il film è tutto incentrato su un personaggio, il tredicenne Antoine Doinel, alter ego del regista. Per entrambi l’infanzia è stata segnata dal mancato affetto della madre, che avrebbe voluto abortire, dalla scoperta che suo padre non era il padre biologico, dalla poca attenzione da parte dei genitori e dalla severa disciplina imposta dai professori, compiaciuti del proprio potere. Le scene interne sono claustrofobiche e di tensione quasi a sottolineare come tutto il mondo degli adulti che lo circonda lo rifiuti e sia pronto ad accusarlo. Tutto è precario per il giovane Antoine, a partire dalla sua posizione all’interno della casa; infatti il suo letto è collocato proprio davanti all’ingresso, quasi ad indicare la concreta possibilità di esser cacciato in qualsiasi momento.
Le scene liberatorie, invece, in cui il protagonista è solare e perfettamente a suo agio sono quelle girate in esterni, nelle strade e nei luoghi di Parigi, in compagnia dell’unica figura paragonabile a una famiglia, l’amico René. La cinepresa segue i due ragazzi nei loro vagabondaggi, quando marinano la scuola e nelle loro avventure, come il tentativo di furto di una macchina da scrivere, fino a quando Antoine viene mandato in riformatorio. Gli ultimi cinque minuti della pellicola seguono la corsa del ragazzo verso il mare, metaforica corsa verso la libertà, con lunghe carrellate che lo mettono in rapporto con il paesaggio che si apre solo in prossimità della battigia. L’inquietudine e la solitudine del protagonista raggiungono l’apice nel fermo immagine conclusivo, che esprime al meglio l’incertezza del futuro che lo attende.