Parte II

La trascendenza del delirio
Aspetti della follia

Medici e malati

Capitolo I

La trascendenza del delirio

Un problema filosofico che delizia il XVII secolo è in che modo si trovi implicata l’anima nella follia. Prendiamo in esame due teorie contrapposte una legata alla tradizione dei teologi giuristi e dei giudici, l’altra esposta da Voltaire.

La tradizione dei giuristi e dei teologi fa leva sull’innocenza del folle: qualora questo dà qualche segno di pentimento si deve supporre che "lo Spirito ha illuminato la sua anima per vie che non sono sensibili e materiali, e quindi il folle è salvo qualsiasi cosa abbia commesso perché la sua anima è rimata in ritiro, e preservata dal male". Si arriva così alla conclusione che l’anima di folli non è follia.

Opposta è la teoria di Voltaire, il quale riprendendo questo dialogo risponde che dotti e dottori, per preservare la purezza dell’anima, vorrebbero convincere il folle che la sua follia si limita solo ai fenomeni del corpo: "Amico mio benché tu abbia perduto il senso comune, la tua anima è altrettanto spirituale, altrettanto pura, altrettanto immortale della nostra; ma la nostra è bene alloggiata, mentre la tua lo è male; le finestre della casa sono tappate… l’aria le manca, essa soffoca". Ma il folle d’altro canto sa bene che la sua anima è colpita e controbatte affermando: "Amici miei, voi supponete secondo le vostre abitudini ciò di cui stiamo discutendo. Le mie finestre sono aperte come le vostre, poiché io vedo gli stesi oggetti e ascolto le stesse parole. Occorre quindi necessariamente che la mia anima faccia un cattivo uso dei sensi". Quindi o l’anima dei folli è folle o i folli non hanno anima.

Lasciando da parte questa problematica, Foucault esamina ora le follie che appartengono in proprio alla follia, cominciando dalle più esteriori (il ciclo delle causalità) alle più inferiori (passione immagine) per arrivare infine al momento essenziale del delirio.

Il ciclo delle causalità si distingue in cause prossime e cause lontane.

Giraudy nel 1804 farà al ministro dell’interno un rapporto sulla situazione di Charenton, in cui dichiara di aver potuto stabilire attraverso informazioni sicure la causa della malattia in 476 casi: "150 sono caduti malati in seguito a vive emozioni dell’anima; 12 per l’abuso dei piaceri di Venere; 31 per abuso di liquori alcolici; 2 per la presenza di vermi nell’intestino…". La lista delle cause remote della follia dunque non cessa di allungarsi. Il XVIII secolo le enumera disordinatamente, senza distinzione, in una molteplicità poco organizzata.

Capitolo II

Aspetti della follia

In questo capitolo Foucault descrive quattro aspetti della follia, esaminandone le cause, gli effetti e i sintomi e introduce l’argomento che sarà proprio di tutto il successivo capitolo, descrivendo le tecniche mediche utilizzate contro la follia nei secoli XVII e XVIII.

Capitolo III

Medici e malati

Nonostante le scoperte fisiologiche di Harvey, Des Cartes e Willis, le tecniche mediche non hanno potuto usufruire di nessuna invenzione importante.

Il mito della panacea, ossia il rimedio che guarisce tutti i mali non è del tutto scomparso, la panacea veniva considerata "la natura stessa che agisce e cancella tutto ciò che appartiene alla contronatura".

Nel secolo XVII si apre una discussione sull’oppio che viene utilizzato in un gran numero di malattie e specialmente nel caso della malattie di testa. Whutt ne esalta i meriti e l’efficacia contro i mali nervosi, in quanto esso indebolisce la facoltà di sentire che è propria dei nervi e di conseguenza è utilissimo per tutte le agitazioni, le convulsioni, la debolezza. L’effetto dell’oppio è quindi l’insensibilizzazione.

L’effetto dell’oppio è totale perché la sua decomposizione chimica lega degli elementi che nel loro stato normale determinano la salute, e nelle loro alterazioni le malattie.

Hacquet rimane dell’idea che l’oppio guarisce per virtù di natura in quanto in esso è depositato un segreto che lo mette in comunicazione diretta con le fonti della vita, c’è un’essenza, uno spirito che è lo spirito della vita stessa: esso agisce secondo una meccanica naturale e visibile, poiché ha ricevuto un dono segreto della natura.

Durante tutto il XVIII secolo l’idea dell’efficacia del farmaco si stringeva attorno a questo tema della natura, e il mondo della guarigione rimaneva in gran parte in questo spazio della generalità astratta.

E’ una vecchia idea quella secondo cui non esiste al mondo una forma di malattia che non sia possibile guarire una volta trovato il suo antidoto, che d’altra parte non può non esistere. Tuttavia ci fu nell’età classica un settore di resistenza: il dominio della follia. L’immaginazione classica non si è ancora sbarazzata del tema della follia legata a forze oscure, e moltissimi schemi simbolici sopravvivono ostinatamente nei metodi di guarigione dell’età classica.

Il vigore di questi temi morali e immaginari spiega senza dubbio perché fino al termine dell’Età Classica vengono usati farmaci umani e minerali: il lapislazzulo, per esempio, che rallegra il cuore e fortifica la memoria.

Nella convulsione la violenza deve essere sconfitta con la violenza stessa, ecco perché si usano i crani degli impiccati uccisi da mano umana, oppure sangue umano ancora caldo. Certi sistemi puramente simbolici quindi conservarono la loro solidità fino alla fina dell’età classica.

Particolare è il valore che viene dato al serpente: esso, forma visibile della tentazione, nemico per eccellenza della donna, è per lei, allo stesso tempo, rimedio contro i vapori e le malattie della donna; Madame de Sevignì scrive: "E’ alle vipere che io debbo la piena salute di cui godo". Ella teneva in casa delle vipere e ogni mattina tagliava la testa a uno di queste, che mangiava nel pomeriggio.

Proprio l’età classica, tuttavia, ha dato pieno significato alla nozione di cura. Si sostituisce il concetto di panacea con quello di cura, che sopprime l’insieme di ciò che nella malattia è determinante e determinato: i momenti della cura devono dunque articolarsi sugli elementi costitutivi della malattia.

Le tappe, le fasi della cura devono articolarsi sulla natura visibile della malattia e andare in cerca di ognuna delle sue cause. Ogni cura è una riflessione sulla malattia e su se stessa e sul rapporto tra esperienze.

A proposito delle malattie nervose.
Le cure del XVIII secolo hanno assunto i modelli più vari come se nei loro riguardi si stabilisse infine quello scambio tra follia e medicina che l’internamento aveva rifiutato. Nasce l’internamento di tipo ospedaliero con il conseguente dialogo tra il folle e i medici.

Idee terapeutiche che hanno organizzato le cure della follia.

  1. La consolidazione: nella follia c’è una componente di debolezza di spiriti che hanno movimenti irregolari perché non hanno la capacità di seguire il loro corso. I furori del folle sono violenza passiva. Occorre una cura che dia forza agli spiriti, ma una forza che non possa essere sfruttata da nessun disordine.

  2. Robustezza già addomesticata: occorre trovare una forza da prelevare sulla natura per rafforzare la natura stessa. Solidità per resistere ai vapori: contro i vapori si rafforzano gli spiriti con gli odori più puzzolenti (assa fetida, cuoio e piume bruciati). Miglior rafforzamento è considerato il ferro.

  3. Purificazione: si sogna una specie di purificazione totale, semplice ma non più impossibile: sostituire al sangue di un malinconico, sovraccarico, un sangue chiaro e leggero: tuttavia la tecnica è presto abbandonata.

  4. L’amarezza: un caffè dà forza e vigore agli spiriti;

  5. Il sapone: Tissot calma con esso molte malattie nervose;

  6. Il tartaro è efficace contro le malattie d’ingorgo;

  7. Applicazioni d’aceto.

  8. L’immersione: l’acqua assume il significato di un rituale di purificazione. In questa freschezza si rinasce alla propria innocenza e allo stesso tempo essa restituisce ad ognuno il proprio equilibrio. Scrive Tissot: "La natura ha indicato a tutte le nazioni l’acqua come unica bevanda". A partire dalla fine del XVII secolo la cura dei bagni prende posto tra le più importanti terapeutiche della follia. L’acqua fredda viene usata nei casi di frenesia.

Margherita Pisapia